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Trentotto anni fa, nel quartiere della Falchera, a Nord di Torino, nel corso della più grande occupazione di case della Città, veniva assassinato Tonino Miccichè da una guardia giurata iscritta alla Cisnal, il sindacato fascista del tempo.
Da tre anni ricordiamo Tonino; la nostra non è un’operazione “memorialista”. Vogliamo richiamare la memoria di un compagno che, nella sua breve vita, ha sintetizzato un percorso di lotte proletarie condotte in attacco fra la fine degli anni Sessanta e la prima metà degli anni Settanta. Per LOTTA CONTINUA Tonino personifica uno dei passaggi più intelligenti della sua pratica politica: l’elaborazione e la messa in atto del programma “Prendiamoci la città”.
Tonino, giunge a Torino con il “treno del Sole” nel 1966, all’età di 16 anni da Pietraperzia, in provincia di Enna. Assunto alle Meccaniche di Mirafiori diventa un esponente di quel formidabile conflitto che oppone la “nuova classe operaia” delle fabbriche torinesi alla Fiat e al capitalismo torinese.
Agli inizi del ’73 i mazzieri fascisti si distinguono per le loro “imprese “ che partono dal covo missino di Cso Francia 19. Compagni vengono aggrediti in piazza Adriano, davanti al liceo Cavour e alla porta 17 di Mirafiori. Il 27 gennaio un imponente corteo di studenti percorre le vie centrali di Torino; nei pressi di Porta Palazzo un gruppo di squadristi cercano di provocare la manifestazione bastonando un compagno operaio. Verso le 20 dello stesso giorno un gruppo di compagni, intenzionato a chiedere conto del comportamento squadrista, si ritrova nei pressi di corso Francia 19. Il covo fascista, come sempre, è ben protetto dalla polizia che reagisce sparando ad altezza d’uomo contro i compagni. Vengono feriti due compagni di LOTTA CONTINUA e arrestati Carlo e Andrea, nipote di Piero Gobetti. Altri 25 compagni di Lotta Continua saranno arrestati nei giorni seguenti. Tonino, viene fermato mentre sta entrando in fabbrica; dopo 3 mesi di carcere a Pescara sarà rimesso in libertà per “mancanza di indizi” Intanto la Fiat ha provveduto a licenziarlo. Tonino diventa responsabile del “settore casa” di Lotta Continua e partecipa attivamente alla lotta per la casa e alle occupazioni cittadine degli anni 74-75, in particolare all’occupazione della Falchera Nuova. Dirige, da militante comunista, il conflitto con il Comune cittadino per rivendicare il diritto alla casa e l’assegnazione degli appartamenti IACP.
In un’intervista comparsa su Lotta Continua del 15 novembre 1974 afferma: “ È importante che questa lotta non si fermi. Questa forma di organizzazione deve estendersi. Se andiamo a guardare bene, non è un’organizzazione nuova, è un’organizzazione già sperimentata nelle fabbriche, anche perché i compagni che occupano sono i compagni di fabbrica. Ci riallacciamo direttamente all’organizzazione dei delegati di squadra. Il delegato di fabbrica rappresenta gli interessi della squadra, il delegato di scala è l’espressione dei suoi compagni di scala. Qui mancava il gas, l’acqua, la luce, i compagni hanno risposto facendo tutto: abbiamo elettricisti, idraulici, il Comitato di Lotta li ha organizzati. Abbiamo messo in piedi anche un asilo.”
Per noi ricordare Tonino ha senso solo se questo si collega e si fonde con le pratiche di lotta odierna, in primo luogo quelle per il diritto alla casa e contro gli sfratti, conflitti che a Torino sono ripresi con l’appoggio dei centri sociali cittadini. Il proletariato metropolitano torinese sta ritornando rivendicare e a lottare per il proprio diritto naturale alla casa contro la rendita e la speculazione edilizia.
Tonino sarebbe sicuramente al loro fianco.
Testimonianza di Enzino di Calogero, ripresa da Corrado Sannucci, Lotta Continua. Gli uomini dopo, pag 125.
“Era appena dopo la vertenza del ’70, gli esterni della porta 18 delle Meccaniche mi parlavano con entusiasmo di un certo Tonino, un ragazzo molto attivo nel turno opposto al mio. Un nuovo militante per Lotta Continua era certamente un evento importante, ma per me aveva un significato particolare. Avevo saputo che questo mio compagno era del mio stesso paese, Pietraperzia, in Sicilia, provincia di Enna. Mi chiedevo chi potesse essere questo compaesano; a Pietraperzia i giovani a qualsiasi ceto sociale appartenessero, si conoscevano tutti, almeno di vista, perché s’incontravano a passeggiare con il proprio gruppo, in piazza con il vestito buono o davanti alla chiesa la domenica, per guardare le ragazze chje uscivano dalla messa. Non sapevo in quale gruppo collocarlo: e poi quel nome, Tonino, un diminutivo insolito per il mio paese. Temevo che fosse un figlio di emigrati, casomai nato già a Torino, sarebbe stata una mezza delusione. Ero ansioso di incontrarlo. Un giorno mentre giocavo a calcetto al bar di corso San Maurizio, sentii alle mie spalle la voce di un siciliano allegro e sfottente che diceva: “salutammo la cumpagnia”. Era lui. Lo conoscevo da sempre e da sempre si conoscevano e si rispettavano le nostre famiglie. Da piccolo avevo giocato con lui perché abitava nel quartiere di mia nonna e di mo zio e allora lo chiamavo Nino. L’amicizia naque in un istante. Ci fece diventare fratelli di una fratellanza inimmaginabile, come quella di internati in un campo di concentramento. Non ho mai conosciuto un militante più stupito e divertito di lui prer le trasformazioni che la lotta collettiva operava sui singoli individui in fabbrica e fuori. Era una persona felice di essere un ribelle, un ribelle irriducibile, ma consapevole che le giuste ragioni della rivolta non dovessero mai indietreggiare di fronte agli ostacoli, di qualunque natura fossero. Mi impressionava ogni volta la sua audacia. Davanti alla poorta 18 lo vidi apostrofare una pattuglia della polizia che sostava lì davanti: “che ci fate voi qui, questo non è il vostroi posto; non lo sapete che qui lottando anche per voi?”
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